MARCUS FIGURA
07/05/2018
Alcuni storici, filosofi e poeti dell’antica Grecia descrissero nelle proprie opere un uomo mitico proveniente da una regione molto lontana: il suo nome era Abàri (o Abaride). Egli fu un indovino, un taumaturgo e un sacerdote di Apollo che, se realmente esistito, visse forse tra il VII e il VI secolo a.C.

Lo storico Erodoto, il poeta Pindaro e il famoso filosofo Platone ci raccontano che Abàri proveniva da una regione situata all’estremo nord, tra i monti Rifei e l’Oceano, chiamata Iperborea, ancora oggi non identificata con certezza.
In questa terra apprese e sviluppò le sue abilità da guaritore. Fu fatto primo sacerdote di Apollo Iperboreo per aver celebrato in versi i viaggi del dio agli Iperborei. Ricevette il dono dello spirito profetico e una freccia d’oro. Secondo la leggenda grazie a questa riusciva a volare, così viaggiò per tutta la Grecia senza nutrirsi, guarendo gli ammalati.

Giamblico di Calcide scrive nella “Vita Pitagorica” che Abàri debellò la peste in molte città e che conobbe Pitagora alla corte di Falaride, tiranno di Agrigento. I due si scambiarono dei doni: Abàri donò a Pitagora la sua freccia (forse una bussola), e questo in cambio gli mostrò la sua coscia d’oro (il rapporto aureo).
Infine la Suda, un’enciclopedia storica del X secolo, ci riferisce che Abàri andò ad Atene durante la terza Olimpiade come delegato ufficiale del paese degli Iperborei. A lui furono attribuiti diversi libri, tra cui un volume degli Oracoli Scitici e una teogonia.

Nonostante molti dati biografici non abbiano alcun fondamento storico, Abàri testimonia dei probabili legami tra la cultura greca e lo sciamanesimo delle culture subartiche.
Infatti i filologi Karl Meuli ed Eric Dodds confermano la sua appartenenza allo sciamanesimo in quanto alcuni tratti della sua descrizione, come il viaggiare su una freccia e il non nutrirsi, erano dei poteri attribuiti agli sciamani del nord.